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Cenni di Archeologia Subacquea

anforealbenga

La parola “Archeologia” deriva da “arkaios” antico e da “logos” scienza. Quella subacquea é l’ultima nata fra le discipline archeologiche, ma per questo non meno sorprendente ed importante. L’archeologia subacquea ci consente la ricostruzione della storia dell’uomo singolo o sociale in rapporto al mare attraverso l’analisi dei flussi commerciali, la ricerca topografica sugli antichi porti o sulle città sommerse e lo studio della costruzione della barca come mezzo per solcare i flutti. Quindi di “ricerca storica” si tratta.

Le fonti da cui possiamo trarre informazioni sono le città con i loro edifici, decorazioni, iscrizioni, monumenti, tombe, oggetti di uso quotidiano, sono le monete e le fonti letterarie. Sappiamo che i primi graffiti risalgono a 35000 anni fa, che la scrittura fu inventata in Mesopotamia nel 3300 a.c. e che dall’analisi della stele di Rosetta si riusci a decifrare la scrittura egizia.

La prima testimonianza di utilizzo delle risorse marine si ha in Babilonia dove furono trovato oggetti di 4500 anni fa, incrosati di madreperla. A Tebe, mille anni dopo, si usavano conchiglie per ornare oggetti ed in Egitto la madreperla veniva utlizzata per intarsi. Nel 2000 a.c. i pescatori cretesi raccoglievamo le spugne ed i murici da cui ricavavano la porpora mentre gli indiani ed i cinesi pescavano ostriche perlifere.  

Testimonianze di come l’uomo abbia tentato di affrontare l’acqua immergendosi, hanno antiche origini. Nel 885 a.c. soldati assiri raffigurati in un bassorilievo attraversavano un fiume con un otre sul petto ed un tubo in bocca per respirare. Aristotele ipotizzò una “marmitta rovesciata” piena di aria nella quale l’uomo mantiene la testa”. Plinio cita i nuotatori romani detti “urinatores” come esperti nel recupero di materiale affondato (nota importante: si riempivano la bocca di olio per espellerlo poi sotto acqua per migliorare la visibilità). Leonardo da Vinci progettò scafandri in cuoio, autorespiratori con sacche di aria da posizionare sulle spalle e pinne da applicare ai piedi.

albenga naveHanno precedenti antichissimi anche i tentativi di riprendere al mare i carichi delle navi naufragate, specie quelli preziosi, come da  documenti scritti da Plinio il vecchio e Tito Livio. Già nel I sec a.c. venne tratta dal mare una statua bronzea di notevole dimensione proveniente da Ostia. Erano infatti pratica diffusa nel mondo romano le immersioni alla ricerca di carichi affondati. Dai secoli del Medio Evo non sono giunte invece notizie di attività subacquee. Bisognerà aspettare l’inizio del XV secolo perchè si comincino a progettare macchine destinate a facilitare le immersioni. Nel 1798 fu realizzata la prima vera tuta da palombaro e nel 1943 J.Y. Costeau ed E. Gagnan misero a punto il primo autorespiratore ad aria che rivoluzionò la storia delle immersioni. Nel 1948 questi pionieri eseguirono la prima spedizione archeologica moderna sul relitto Mahdia per la Marina francese. Risale al 1950 il primo intervento italiano con “propositi scientifici”, effettuato per iniziativa di Nino Lamboglia, con l’impiego di palombari e della nave recupero Artiglio. Venne effettuta l’esplorazione e lo scavo di una grande nave romana del I sec a.c. ad Albenga carica di anfore romane. Da allora la storia è ricca di imprese e discoperte stepitose. 

bronzi Perché tanti viaggi per mare? Per trasportare tante merci, piu velocemente che per terra, con minor costo e ridotto numero di personale. Le navi per esempio giungevano a Roma cariche di olio e vino in vari tipi di anfore, metalli, prodotti di costruzione come i marmi, animali, opere d’arte come i Bronzi di Riace o la statua di Porticello. Nei siti troviamo anche attrezzature di bordo come elmi dei militari di scorta alla nave, gioielli e vari utensili e da ultimo vari tipi ancore. 

 Metodi e tecniche della ricerca subaquea

L’indagine archeologica subacquea condotta sotto la superficie dell’acqua rende necessario l’intervento di varie discipline. L’impiego delle tecniche subacquee, l’organizzazione del cantiere, la scelta del metodo di scavo dipendono dalla natura e dalle caratteristiche del sito. Accanto a relitti e a luoghi tipicamente connessi con attività marittima come gli ancoraggi, si trovano siti originariamente terrestri come le città sommerse e porti. 

In linea generale lo scavo è finalizzato alla raccolta di dati e di elementi utili alla conoscenza dell’aspetto del sito nel passato, alle sue fasi di frequentazione e di abbandono e dei diversi aspetti della vita dell’uomo del tempo. Lo scavo è sempre “stratificato”, concepito cioè come smontaggio ordinato e controllato di una stratificazione naturale. Vi sarà una prima fase di “documentazione” particolarmente importante ed una successiva di “scavo” che è comunque un procedimento di natura distruttiva ed irripetibile. Tutto questo però è preceduto dalla “individuazione” con attività di ricognizione quasi sempre dopo segnalazioni ad opera di pescatori o subacquei sportivi. Lo studio ed il lavoro nei siti archeologici si basa sull’impiego diretto dell’uomo con metodi tradizionali o sull’uso di sofisticati moderni strumenti come mini-sommergibili, Side-Scan-Sonar, Multieam.

Da ultimo lo scavo si concluderà con il “recupero e la conservazione” dei reperti di provenienza subacquea, fase molto importante per evitare lesioni irreparabili togliendoli da un ambinte dove si era creato un equilibrio chimico-fisico durante il periodo di giacitura. 

Raramente uno scavo termina con l’asportazione di tutte le evidenze archeologiche, la “ricopertura” quasi sempre con sabbia non è una soluzione di ripego, ma spesso la cosa più corretta per la conservazione in situ.

E se trovassimo dei reperti sott’ acqua ????  

Rubare la storia ? NO, Grazie ! 

Progetto di salvaguardia del patrimonio archeologico subacqueo 

 

Con l’augurio che anche questo aspetto del mare possa incuriosirci ed affascinarci 

Paola 

In allegato scheda della nave romana di Albenga